bus per polli con zaino in spalla

A volte il contatto fisico a cui ci sottopongono le ristrettezze dei chicken bus (il nome avrà pur un significato?) ha dello strabiliante; perfetti sconosciuti si ritrovano a chiacchierare amorevolmente per ore in posizioni sessualmente dubbie e si porgono distinti saluti alla discesa, come se quella prossimità non fosse mai esistita. I sudori che si mescolano sulle pelli sovrapposte e l’aria intrisa di odore di pollo fritto, di pixxa, di salsa e baciata a tutto volume e di galline starnazzanti raggomitolate sotto il sedile del vicino, sembrano non dare alcun fastidio. L’importante è spingersi, incastrarsi, aggrapparsi, appoggiarsi, sovrapporsi, scavalcarsi…Più di una volta, da seduti, ci siamo ritrovati ad avere, sulle nostre ginocchia, un figlio in affidamento, mentre la madre naturale si regge in piedi su un dito per non perdere l’equilibrio nel resto della folla. Il viaggio più faticoso è stato da Chinandega a Playa Jiquilillo, un paradiso sul Pacifico. Arriviamo da Leon, che con i suoi 35 gradi all’ombra ci ha trovati impreparati  a tanto calore da fine Pasqua. La città sembra infuocata dai suoi vicini vulcani, tutt’oggi bollenti. La scalata al Telica o al El Hoyo ci impegnebbero in un’impresa che forse solo a vent’anni avrei potuto affrontare: 36 km di camminata in salita con 18 chili di zaino. Non posso chiedere così tanto ai miei flaccidi trentaquattro. Ma il Cerro Negro non ce lo leva nessuno. Un vulcano ancora attivo, sofficissimo e nero, e soprattutto facile da scalare. Un’ora di salita piuttosto sopportabile e una discesa di un minuto con tuta anti abrasione, maschera anti accecamento e il culo appoggiato su una tavola di legno. La velocità che abbiamo raggiunto non è stata da guinness dei primati (c’è chi ha raggiunto i 90 km all’ora), ma non possiamo lamentarci se pensiamo ai rotolamenti a cui abbiamo assistito. Ovviamente non sarebbe abbastanza gringa come esperienza se non finisse con una birra e due mojito inclusi nel prezzo! Leon nella sua bellezza decadente ci aiuta a capire che siamo, sempre meno, intenzionati a sostare nelle città, per cui prendiamo il fatidico bus per Jiquilillo. Qui l’oceano puro, con onde che si incrociano e si accatastano quasi spintonandosi, intimidisce un pochino, ma un salto tra un’onda e l’altra non è così pericoloso. Tina, la gringa che gestisce il rancho Tranquilo è dolce, amabile, accogliente, ma da poco dopo l’ora di pranzo, quando ha smaltito la sbronza della sera precedente e pronta a svuotare il suo stesso frigo, e con sorprendente lucidità inizia con l’appuntarsi le birre che beve  per controllare le spese…ma credo che a fine serata non arriverà mai a capo dei conti. I  sei cani che ospita, chi senza denti, chi zoppo, chi con un tumore grande come un cocco, in qualche modo, sono sicura, si prenderanno cura di lei. Passati cinque giorni e dopo aver digerito l’andata siamo pronti per ripartire per il coast to coast, direzione Corn Island, con passaggio obbligato a Managua, che vive un pochino all’ombra delle dicerie sul suo conto rispetto a pericoli, assalti, ladronerie. Non abbiamo verificato quanto siano veritiere queste voci, ma stiamo imparando, da otto mesi a questa parte, a non fidarci più dei pettegolezzi che circolano sul mondo.

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2 Comments

sera

May 5th, 2012

Carlo,vieni giu da quell albero.Fai il bravo!!! un abbraccio.Lucia.

Pandiario

May 5th, 2012

Ahahahahahah

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